Derby interruptus

Roberto Beccantini23 settembre 2017

Era un derby che la Juventus aveva preso subito per le corna: pressing di Pjanic su Rincon e gran sinistro di Dybala. L’hanno chiuso, già al 24’, le follie di Baselli, soprattutto la seconda (sul bosniaco). Sono i rischi che si corrono a caricare troppo le squadre: Mihajlovic ne faccia tesoro.

Con il Toro in dieci, il derby è finito lì. Il derby granata, almeno. Per lasciare fuori Higuain – anche «questo» Higuain – ci voleva coraggio. Allegri l’ha avuto, ricavando da Mandzukic più profondità e più fisicità. Già preziosi e significativi, i cambi di gioco sono diventati letali, come quello che ha propiziato, «via» Cuadrado, il raddoppio di Pjanic, migliore in campo con il croato e Dybala.

L’espulsione di Badelj, mercoledì, non aveva scavato un simile fosso. Due i motivi: la Juventus, memore, non ha mai staccato la spina; Il Toro, stordito, non ha più saputo reagire. Belotti abbandonato, Ljajic disarmato: solo le parate di Sirigu, nella ripresa, gli hanno evitato la goleada, anche se lo 0-4, timbrato da Alex Sandro e Dybala, proprio uno scarto anoressico non è.

Per mezz’ora, la miglior Juventus della stagione. Brillante e fluida. Per il resto, pura accademia. Sono già dieci, con la doppietta odierna, i gol del piccolo Sivori, a conferma che le posizioni nascono alla lavagna, sì, ma maturano in campo.

Primi sorsi di Douglas Costa e, a risultato in ghiaccio, di Bernardeschi. Sempre efficace la quantità di Matuidi. Naturalmente, in proiezione Champions e oltre, non si può non riandare alla cesura di Baselli, un freno alle iperboli. Però, ripeto, la Juventus si era alzata dai box con il piglio della squadra che neppure allo Stadium sempre sa essere.

Juventus e Napoli a punteggio pieno. Quattro vittorie in casa, Allegri; quattro fuori, Sarri. E’ cominciato l’autunno caldo.

L’avara

Roberto Beccantini20 settembre 2017

C’è chi pasteggia a caviale e champagne, il Napoli all’Olimpico laziale (Mertens, soprattutto: chapeau), e chi a pane e salami, la Juventus con la Fiorentina. Si riposava il Creatore e figuratevi, dunque, se oserò mai prendermela con Dybala. Il problema non è lui, è Higuain: vivo, ma poco nel vivo.

Immagino le risse fra Risultatisti e Prestazionisti. Cinque vittorie su cinque, tre punti in più di un anno fa e un saldo gol di 14-3 contro 11-4: tiè. Con la Viola in dieci si è sofferto come una signorinella pallida, altro che Signora Thatcher dei miei stivali: ciapa su.

Le diplomazie sono al lavoro. Era la classica partita-trappola prima del derby: anche la Lazio per il Napoli, ma questa è una pratica che compete a un altro foro. La squadra di Pioli ha montato un catenaccione da tv in bianconero e non ha mai tirato in porta. La rosa è giovane, diamogli tempo. A onor del vero, sono stati rari pure i rischi corsi.

Il turnover di Allegri era legittimo. Ho apprezzato il nerbo geometrico di Bentancur – a volte, però, troppo orizzontale – la vivacità di Cuadrado e il tuttocampismo di Mandzukic. Suo il timbro sul tabellino dopo che, deportato a sinistra, aveva firmato il cambio di marcia a fine gennaio. Per il resto, così così Sturaro terzino, prezioso Asamoah e di livello, ma a questi livelli, la prestazione di Barzagli.

Dalla Var la Juventus ha avuto un rigore in meno e un espulso in più (Badelj). Ecco: avrebbe dovuto essere, comunque, una piccola rampa di lancio. Viceversa, se escludiamo un paio di occasioni, si è ritirata sotto la tenda, lontano da ogni tipo di tentazione (e di circo). Nell’ultimo quarto d’ora, la squadra in undici sembrava la squadra in dieci. Gli spiccioli concessi ai 40 milioni di Bernardeschi, il grande ex, sanno di mancia. C’è chi può.

In dubio pro Leo

Roberto Beccantini12 settembre 2017

Un altro film rispetto alla «prima» di aprile, come certifica il risultato, lo stesso ma rovesciato. La Juventus di De Sciglio, Benatia, Bentancur eccetera ha retto un tempo, poi è finita sotto il sinistro di Leo Messi. Che è come finire sotto un camion.

Il colpetto di bisturi al 45’ o giù di lì, dopo uno-due con Suarez. Il palo. Il cross che ha propiziato il raddoppio di Rakitic. Il rigore in movimento a ribadire certe gerarchie, se mai gli spacciatori di fuoriclasse (meglio: del termine di fuoriclasse) avessero deciso di occupare le piazze dell’ovvio.

Allegri deve ancora fondere la vecchia Juventus con la nuova, visto quello che, sul mercato, ha perso e avuto. La Bbc non c’è più, e nelle partite che pesano – in Champions, soprattutto – Higuain tende a nascondersi, e Dybala, il piccolo Sivori, diventa un Sivori piccolo. La doppietta che «rifilò» alla Pulce, un quarto di finale fa, resta un atto unico, ai massimi livelli: come ribadito dal fumo di Cardiff.

Pur di rimettere Leo al centro del villaggio, Valverde, che stupido non è, ha spedito Suarez a sinistra e Dembelé a destra. Non che il Barcellona stesse giocando un grande calcio, o comunque un calcio superiore a quello degli avversari, possesso palla a parte (61% a 39%).

D’accordo, era «solo» la prima partita del girone. Però il crollo della ripresa, simile a quello con il Real, e a giugno la Bbc c’era, non può non far pensare. Tirare in ballo gli infortuni non aiuta. La staffetta Higuain-Caligara appartiene al repertorio circense del mister.

Messi non aveva mai segnato a Buffon. Ripeto: Non stava dominando, il Barça. Fin lì, aveva tirato di più Madama. E allora: il gioco o i giocatori? In dubio pro Leo. Sempre.